LA CASA DEL RIFUGIO

Chi sono io?

È una domanda che lascio agli altri.

Io sono la mia lingua.

Mahamoud Darwish

_ Descrizione progetto

Il linguaggio verbale è di fondamentale importanza nella vita sociale e individuale, perché grazie alla padronanza di una lingua possiamo intendere gli altri e farci intendere. Senza di essa, l’accesso ad una cultura e ad una società è impossibile. Senza l’apprendimento di una lingua non può esserci integrazione, perché è impossibile comunicare.

Per molti rifugiati siriani la storia di una nuova vita inizia con lo studio di una nuova lingua. Il desiderio di vivere e integrarsi nel nostro paese passa per l’insegnamento dell’italiano.

Palazzo Leopardi o Casa del Rifugio, ospita la Comunità di Sant’Egidio dal 1996. Al suo interno la Comunità di Sant’Egidio ha attivato un Centro di ospitalità per 80 immigrati e rifugiati: il centro oggi ospita diversi profughi siriani arrivati con i corridoi umanitari dal Libano e si occupa dell’insegnamento della lingua italiana, dei servizi di prima accoglienza e dell’orientamento legale per favorire l’integrazione dei migranti.

Siamo partite da queste storie, per raccontare un percorso difficile dall’arabo all’italiano; un percorso fatto di nuove espressioni, nuove frasi, nuove parole, addirittura nuovi fonemi. Un percorso assolutamente necessario per restituire dignità e speranza, ricordando che la parola “democrazia” è sinonimo di educazione linguistica.

_Descrizione del lavoro di creazione

Il nostro lavoro è iniziato a partire dall’ascolto di due registrazioni audio contenenti due lezioni di italiano tenutesi presso la Casa del Rifugio di Sant’Egidio: una lezione insegnava a coniugare i verbi irregolari, l’altra ad utilizzare le preposizioni semplici.

Le due sezioni, musicali e coreografiche, raccontano la prima il processo di apprendimento, caratterizzato da errori nella declinazione e nella pronuncia di alcuni fonemi, delle desinenze dei verbi più difficili come lo sono i verbi “uscire”, “capire”, “finire” ed “iniziare”; la seconda l’apprendimento dei diversi modi di espressione della provenienza o appartenenza territoriale, esercizio più semplice ma dalle implicazioni di significato molto complesse: “io vengo da”, “io sono di”, “io sono nato a”.

L’italiano pronunciato in maniera scorretta e declinato con errori significativi nelle desinenze sembra contaminarsi e divenire un’altra lingua, è l’espressione sonora di una cultura che sta imparando a conoscerne un’altra e ne cerca delle chiavi di accesso.

Imparare ad esprimere da dove si viene, a quale luogo si fa riferimento quando si pensa alla propria identità, infine saper rispondere alla domanda dove si è nati, è un’affermazione delle proprie origini che non si perdono mai e che in un contesto nuovo si ha l’urgenza di esplicare. 

Costruzione musicale

Il racconto drammaturgico si esplica nel suono. Il paesaggio è caratterizzato dalla presenza di una massa sonora piena, invadente e risuonante che si alleggerisce in una seconda fase quando le parole sono volutamente scandite e ben pronunciate. È un percorso tra suono come fonema a suono come portatore di contenuto e di senso; un significato che, nell’apprendimento di una lingua, non si riesce a cogliere da subito ma che necessita di tempo.

La struttura musicale è divisa in due parti: la prima, più consistente, ha la struttura di un canto monodico accompagnato da un bordone. Cantano all’unisono sei voci, le tre voci femminili intonano la melodia mentre le tre voci maschili tengono fisse le note del bordone. La presenza di sei voci crea una massa sonora densa, il canto all’unisono e la tenuta delle note fisse crea un ambiente sonoro suggestivo e sacrale.

Al suo interno la struttura musicale è suddivisa in quattro parti, ciascuna delle quali confluisce in un refrain (“io, tu, lui/lei, noi, voi, loro”). Ogni parte descrive di volta in volta la declinazione di un verbo irregolare, rispettivamente: “uscire”, “capire”, “finire” e “iniziare”. Le frasi melodiche che accompagnano ciascuna declinazione sono state create attraverso uno scambio continuo con la danza. A partire da materiali musicali e materiali coreografici precostituiti e riferiti a ciascun verbo, si sono poi delineate le frasi musicali che hanno di volta in volta confermato o modificato una successione di note o un ritmo per accogliere una frase di movimento o un gesto proposto dalla coreografia. Le tre voci femminili cantano all’unisono ma ciascuna voce intona la melodia pronunciando testi differenti: il gioco di sovrapposizioni avviene attraverso la declinazione molteplice e multiforme, il più delle volte caratterizzata dalla presenza di desinenze sbagliate, dei verbi scelti: uscire, capire, finire, iniziare.

La seconda parte della traccia sonora si svuota di suono, le voci infatti si riducono a quattro, due femminili e due maschili. Le quattro voci si rincorrono, si incastrano una nell’altra e a volte si sovrappongono, come destini diversi che si incontrano in uno stesso tempo e in uno stesso spazio andando a formare, come nella coreografia, figure inaspettate. Ciascuna frase ha una propria intonazione sonora: “io vengo da” “io sono di” “io sono nato/a a”. Le frasi melodiche sono caratterizzate da una pulsazione ritmica ben cadenzata, intenta a sottolineare gli accenti delle parole scelte, l’emissione della voce è impostata tra il cantato e il parlato. L’atmosfera che viene generata da questo rincorrersi di frasi è frenetica e incalzante, in netto contrasto con il senso di distensione e di sospensione temporale che caratterizza la prima parte. L’incorrere del suono delle campane della Chiesa di Santa Maria in Trastevere (dove ha sede la Casa del Rifugio di Sant’Egidio) riporta al tempo presente e stabilisce la fine della lezione di italiano.

Costruzione coreografica

La coreografia si ispira ad un elemento delle registrazioni delle lezioni che più di altri aveva inizialmente colpito: un senso di sovrapposizione e di accavallamento di voci, un intervenire nel discorso in modo intermittente, talvolta timido e sommesso. Con l’idea di questo vociare, costante ma mai eccessivo, è stata elaborata la prima cellula di movimento che, sviluppata con un gioco di canoni e di livelli, ha portato alla costruzione della prima sezione della coreografia, pensata come momento corale. Le quattro danzatrici si muovono come una matassa, che si imbriglia e si sbriglia, che sale e scende, cercando di percorrere tutte le direzioni del ristretto spazio in cui è costretta a muoversi. Molte forme tendono a ritornare, ingrandendosi, passando in un certo senso da una danzatrice all’altra. Un “ritornello” torna ogni volta a ricompattare la massa di corpi in movimento. Nonostante la prima frase di movimento si sia ispirata alla registrazione, nella sua evoluzione si è modificata entrando a contatto con la musica, alla ricerca di un’aderenza con il tessuto sonoro.

La seconda sezione coreografica consiste in quattro distinte frasi coreografiche, ciascuna riferita ad una città della Siria: Latakia, Aleppo, Homs e Damasco. Ogni città è stata pensata in termini di movimento, ispirato al suono della parola o ad immagini associate al loro nome. Inoltre, anche in questo caso, la danza ripercorre, modificandosi o modificando, la frase musicale elaborata per ciascuna città. Ad ogni danzatrice è stata affidata una frase coreografica: gli incastri e le sovrapposizioni visive che si sono creati coreograficamente sono stati del tutto casuali, dato che sono stati determinati ripercorrendo gli interventi delle singole voci nella struttura musicale.

La sabbia riveste un ruolo fondamentale: la compatta distesa iniziale si sfalda poco a poco, proprio come la “matassa” che si muove nello spazio. Alla fine, sulla sabbia restano le impronte delle mani e dei piedi che l’hanno toccata, spostata ed attraversata.

Coreografia Elettra Rossi

Musica Leda Di Piro

Regia, riprese e montaggio video Germana Ruscio (https://germanarusciofilmmaker.com/)

Registrazione musiche e missaggio audio Andrea Giaccone (https://www.instagram.com/andrea_giaccone/?hl=it)

Interpreti Gaia Benedettelli, Nunzia Prisco, Simona Rando, Elettra Rossi

Voce dialogo Ilaria Tramontozzi

Voci Leda Di Piro, Germana Ruscio, Andrea Giaccone, Gianmarco Grantaliano

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_Project Description

Verbal language is of fundamental importance in social and individual life, because thanks to the mastery of a language we can understand others and make ourselves understood. Without it, access to a culture and a society is impossible: there can be no integration, because it is impossible to communicate.

For many Syrian refugees, the story of a new life begins with the study of a new language. The desire to live and integrate in our country passes through the teaching of Italian.

Palazzo Leopardi or Casa del Rifugio, in Rome, has housed the Community of Sant’Egidio since 1996. The Community of Sant’Egidio has had a Hospitality Center for 80 immigrants and refugees: the center now houses several Syrian refugees who have arrived. With the humanitarian corridors from Lebanon and deals with the teaching of the Italian language, first reception services and legal guidance to promote the integration of migrants.

We started from these stories, to tell a difficult journey from Arabic to Italian; a journey made up of new expressions, new phrases, new words, even new phonemes. An absolutely necessary path to restore dignity and hope, remembering that the word “democracy” is synonymous with linguistic education.

_Description of the work of creation

The work starts with listening to two audio initiations containing the Italian lessons held at the Casa del Rifugio in Sant’Egidio: one lesson taught how to decline irregular verbs, the other how to use simple prepositions.

The first of the two sections, both musical and choreographic, is about the learning process, including errors in the declension and pronunciation of some phonemes and about the endings of the most difficult Italian verbs such as the verbs “uscire”(to go out), “capire” (to understand), “finire” (to finish) and “iniziare” (to begin); the second section is about learning the different ways of expressing the origin or territorial belonging, with simpler exercises but with far more complex implications of meaning: “io vengo da” (I come from), “io sono di” (I am from), “io sono nato a” (I was born in).

Italian, pronounced incorrectly and declined with significant errors in the endings, seems to contaminate itself and become another language: is the sound expression of a culture that is learning to know another and looking for access keys.

Learning to express where you come from, which place you refer to when thinking about your identity, finally knowing how to answer the question where you were born, is an affirmation of your origins that are never lost and that in a new context you have the urge to explain.

_Music

The dramatic narrative is expressed in sound. The landscape is characterized by the presence of a full, intrusive and resonant sound mass that is lightened in a second phase when the words are deliberately marked and well pronounced. It is a path between sound as a phoneme and sound as a carrier of content and meaning; a meaning that, in learning a language, you can not grasp immediately but that needs time.
The musical structure is divided into two parts: the first, more consistent, has the structure of a monodic song accompanied by a bordon. They sing in unison six voices, the three female voices sing the melody while the three male voices hold the notes of the bordone. The presence of six voices creates a dense sound mass, the singing in unison and the tightness of the fixed notes creates a suggestive and sacred sound environment. Within it the musical structure is divided into four parts, each of which flows into a refrain “Io, tu, lui/lei, noi, voi, loro” (”I, you, he/she, we, you, they”). Each part describes from time to time the conjugation of an italian irregular verb, respectively: “uscire”, “capire”, “finire”, “iniziare” (“to go out”, “to understand”, “to finish” and “to begin”). The melodic phrases that accompany each declination have been created through a continuous exchange with dance. Starting from pre-established musical and choreographic materials and referring to each verb, then the musical phrases that have confirmed or modified a sequence of notes or a rhythm to accommodate a phrase of movement or a gesture proposed by the choreography were outlined. The three female voices sing in unison but each voice sings the melody pronouncing different texts: the game of overlapping occurs through the multiple and multiform declination, most of the time characterized by the presence of wrong endings, in italian, of the chosen verbs: “uscire”, “capire”, “finire”, “iniziare”.

The second part of the sound track is empty of sound, the voices in fact are reduced to four, two female and two male. The four voices chase each other, fit one into the other and sometimes overlap, as different destinies that meet in the same time and space going to form, as in the choreography, unexpected figures. Each sentence has its own sound intonation: “io vengo da”, “io sono di”, “io sono nato/a a” (“I come from”, “I am from”, “I was born in”). The melodic phrases are characterized by a rhythmic pulse well cadenced, intent on emphasizing the accents of the chosen words, the emission of the voice is set between the vocal and the spoken. The atmosphere that is generated by this succession of phrases is frenetic and pressing, in stark contrast to the sense of relaxation and temporal suspension that characterizes the first part. The sound of the bells of the Church of Santa Maria in Trastevere (where the Casa del Rifugio di Sant’Egidio is located) brings back to the present time and establishes the end of the Italian lesson.

_Choreography

The choreography is inspired by an element of the recordings of the lessons that had initially struck more than others: a sense of juxtaposition and overlapping of voices, an intermittent, sometimes timid and subdued intervention in the speech. With the idea of ​​this constant but never excessive chatter, the first movement unit was developed which, developed with a game of canons and levels, led to the construction of the first section of the choreography, conceived as a choral moment. The four dancers move like a skein, which harnesses and unravels, which rises and falls, trying to travel all directions of the narrow space in which it is forced to move. Many forms tend to return, enlarging, passing in a certain sense from one dancer to another. A “refrain” returns each time to regroup the mass of moving bodies. Although the first movement phrase was inspired by the recording, in its evolution it has changed by coming into contact with the music, in search of an adherence with the sound fabric.

The second choreographic section consists of four distinct choreographic phrases, each referring to a city in Syria: Latakia, Aleppo, Homs and Damascus. Each city has been thought of in terms of movement, inspired by the sound of the word or images associated with their name. In addition, even in this case, the dance retraces, modifying itself or modifying, the musical phrase elaborated for each city. Each dancer was entrusted with a choreographic phrase: the joints and visual overlaps that were created choreographically were entirely random, since they were determined by retracing the interventions of individual voices in the musical structure.

The sand plays a fundamental role: the compact initial expanse gradually flakes, just like the “skein” that moves in space. In the end, the imprints of the hands and feet remain on the sand that touched, moved and crossed it.